Il riscaldamento globale sta avendo un impatto profondo e radicale sull'ecosistema marino delle isole Svalbard, un'area che sta vivendo una trasformazione accelerata dovuta all'"atlantificazione." Questo fenomeno, caratterizzato dall'ingresso di acque più calde e salate provenienti dall'Atlantico, sta alterando il delicato equilibrio delle specie marine locali [1].
Ricercatori del University Centre in Svalbard hanno monitorato questi cambiamenti per tre decenni, documentando come l'atlantificazione stia influenzando l'ecosistema pelagico, una componente vitale del sistema marino che dipende da specifiche interazioni tra le specie. L'introduzione di acque atlantiche ha creato condizioni favorevoli per la proliferazione di alcuni crostacei, che ora prosperano in queste nuove condizioni più calde. Tuttavia, questa alterazione ha conseguenze a cascata sulla catena alimentare locale [1].
Un esempio significativo di questo cambiamento è l'adattamento forzato degli uccelli marini, che tradizionalmente si nutrivano di specie tipiche delle acque fredde. Con il cambiamento delle disponibilità alimentari, questi uccelli hanno iniziato a includere nella loro dieta pesci provenienti da acque più calde, dimostrando un adattamento necessario ma preoccupante per la sostenibilità a lungo termine dell'ecosistema.
Un segnale visibile di questi cambiamenti è la drastica riduzione della copertura di ghiaccio nel fiordo di Kongsfjorden, osservabile confrontando immagini del 1922 e del 2002. La riduzione del ghiaccio ha conseguenze significative, influenzando non solo la fauna locale, ma anche l'intero sistema marino che dipende dalla presenza di ghiaccio per la regolazione del clima e degli habitat marini [1].
Questi cambiamenti sollevano interrogativi cruciali sulla capacità di resilienza delle specie, compresa quella umana, di fronte ai cambiamenti ambientali che abbiamo contribuito a innescare. La formazione di nuovi equilibri ecologici, influenzati dal riscaldamento globale, richiede ulteriori studi per comprendere appieno come influenzeranno la biodiversità e, in ultima analisi, l'umanità. Questi cambiamenti potrebbero alterare in modo irreversibile gli ecosistemi marini, con impatti a lungo termine ancora difficili da prevedere.
Fiordo di Kongsfjorden del 1922 - Credits: Anders Orvin e Christian Aslund/Fram Centre
Fiordo di Kongsfjorden del 2022 - Credits: Anders Orvin e Christian Aslund/Fram Centre
La copertura glaciale si è ridotta drasticamente con implicazioni per l'ecosistema marino nel fiordo
Oceani: sistemi dinamici in costante evoluzione [1]
Le condizioni meteorologiche, le correnti, le maree e la stagionalità influenzano notevolmente gli ecosistemi marini, rendendo difficile isolare i segnali di cambiamento a lungo termine dalla variabilità naturale a breve termine. Per distinguere questi segnali, gli scienziati conducono campagne di campionamento a lungo termine e analizzano statisticamente i dati raccolti, cercando prove affidabili che confermino le tendenze osservate.
A Kongsfjorden, nelle isole Svalbard, i ricercatori hanno monitorato l'ecosistema marino per decenni, raccogliendo una vasta serie di dati ecologici e fisici. Questi includono campioni di dieta degli uccelli marini, misurazioni di temperatura, ghiaccio marino e abbondanza di plancton. I cambiamenti nell'ecosistema riflettono sempre più i cambiamenti fisici indotti dal riscaldamento globale e dall'atlantificazione.
Uno dei principali indicatori monitorati è il fitoplancton, il cui studio risale agli anni '70, con un monitoraggio sistematico ogni estate dal 2009. I dati mostrano tre scenari distinti di fioritura primaverile. Fino ai primi anni 2000, Kongsfjorden era spesso coperto di ghiaccio per lunghi periodi, e la fioritura del fitoplancton avveniva a maggio, dominata da diatomee. Con la riduzione della copertura di ghiaccio, la fioritura si è anticipata ad aprile, mantenendo la dominanza delle diatomee. Tuttavia, negli anni più caldi, si è osservato un terzo scenario: l'afflusso di acqua atlantica durante l'inverno ha impedito la miscelazione profonda e la formazione di ghiaccio, portando a una fioritura ritardata e dominata dalle colonie di Phaeocystis pouchetti. Questi cambiamenti possono influenzare significativamente la rete alimentare marina, alterando la tempistica, l'entità e la composizione delle fioriture.
Anche lo zooplancton è stato monitorato dal 1996, con un'attenzione particolare ai copepodi, un gruppo chiave di piccoli crostacei. I dati indicano un aumento del copepode atlantico Calanus finmarchicus, correlato al riscaldamento e alla perdita di ghiaccio marino. Sorprendentemente, l'abbondanza del suo cugino artico, C. glacialis, non è diminuita, ma ha invece mostrato adattamenti che migliorano la sua efficienza riproduttiva e accorciano il suo ciclo di vita, portando a una riduzione delle dimensioni corporee. Questi cambiamenti potrebbero rendere più efficiente il trasferimento di energia lungo la catena alimentare, ma potrebbero anche creare sfide per i predatori che selezionano le prede in base alle dimensioni, poiché i copepodi più piccoli potrebbero essere più difficili da catturare, riducendo così l'efficacia della caccia.
Pannello a) Svalbard con correnti atlantiche e artiche che influenzano Kongsfjorden. Pannello b) Registrazioni dell'indice del ghiaccio marino (blu) e della temperatura dell'oceano (rosso) a Kongsfjorden. Un indice del ghiaccio marino più basso implica meno ghiaccio marino. I dati sulla temperatura provengono da Tverberg et al. (2019) The Kongsfjorden Transect: variabilità stagionale e interannuale nell'idrografia in The Ecosystem of Kongsfjorden, Svalbard. La figura è modificata da Vihtakari et al. (2018).
Gli ecosistemi marini della costa occidentale delle Svalbard sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici a causa dell'influenza della corrente di West Spitsbergen, un ramo della calda corrente del Nord Atlantico che si spinge verso nord. Questo flusso di acqua più calda fa sì che i fiordi della costa occidentale delle Svalbard rispondano ai cambiamenti climatici più rapidamente rispetto ad altre regioni dell'Artico.
La corrente di West Spitsbergen
Il processo attuale di Atlantificazione fa si che le acque più calde e salate penetrino più in profondità nei fiordi rispetto al passato. Durante la fioritura primaverile, il fitoplancton utilizza l'energia solare per produrre zuccheri e lipidi, che rappresentano una fonte essenziale di nutrimento per lo zooplancton erbivoro, come i copepodi del genere Calanus. Questi copepodi sono un anello vitale nella catena alimentare, trasferendo l'energia accumulata dal fitoplancton a predatori di ordine superiore.
Predatori atlantici come il merluzzo atlantico (Gadus morhua) stanno diventando più presenti nelle acque delle Svalbard, esercitando una maggiore pressione di predazione su specie locali, come il merluzzo polare (Boreogadus saida), e su livelli trofici inferiori, compresi i copepodi. Questa invasione di specie atlantiche non solo altera le dinamiche predatorie, ma può anche destabilizzare la struttura dell'ecosistema marino, provocando cambiamenti a catena che influenzano la biodiversità e la sostenibilità del sistema.
Cambiamenti significativi dell'ecosistema nella zona costiera del fondale marino [1]
Uno studio fotografico a lungo termine, che ha coperto un periodo di 30 anni, ha documentato le comunità bentoniche subtidali su fondali rocciosi nel Kongsfjorden e nello Smeerenburgfjorden, più a nord. I risultati mostrano un aumento della copertura di macroalghe a partire dalla metà degli anni '90. Questo incremento è particolarmente rilevante poiché le alghe forniscono un nuovo habitat per vari invertebrati bentonici, molti dei quali sono diventati più abbondanti, mentre altre specie hanno subito un declino. I cambiamenti osservati nella comunità bentonica sono stati collegati direttamente ai cambiamenti climatici, in particolare alla riduzione del ghiaccio marino e al riscaldamento delle acque, che hanno intensificato l'influenza delle condizioni atlantiche su questi ecosistemi.
Tuttavia, la risposta delle specie che abitano i fondali fangosi a questi cambiamenti non è stata altrettanto coerente. Le variazioni osservate nel tempo sembrano dipendere non solo dal riscaldamento globale ma anche da altri fattori fisici la cui variabilità potrebbe aver influenzato queste comunità. Un elemento centrale di questa ricerca si è concentrato sulla resilienza ecologica, ossia la capacità della rete alimentare marina di Kongsfjorden di resistere ai cambiamenti continui.
I dati indicano che l'evento di atlantificazione del 2006 ha comportato una significativa perdita di resilienza ecologica, rendendo il sistema più vulnerabile a una possibile perdita di biodiversità. Tuttavia, a partire dal 2013, sono stati osservati segnali di miglioramento della resilienza ecologica, grazie ai cambiamenti nel modo in cui le specie si nutrono e interagiscono tra loro. Inoltre, è stato riscontrato un aumento della produttività secondaria, sia a Kongsfjorden che nelle aree costiere delle Svalbard, suggerendo l'emergere di una nuova rete alimentare marina che sta iniziando ad adattarsi ai cambiamenti climatici in corso.
I cambiamenti osservati alle Svalbard stanno avvenendo a un ritmo accelerato: la fauna dei fiordi della costa occidentale, un tempo tipica dell'Alto Artico, sta diventando sempre più simile a quella degli ecosistemi presenti lungo la costa norvegese, con reti alimentari che includono un numero crescente di specie atlantiche. Questo fenomeno solleva preoccupazioni sul futuro delle specie artiche rimaste, che potrebbero gradualmente diminuire in abbondanza fino a scomparire completamente dall'ecosistema.
Alcune specie artiche, come il copepode Calanus glacialis, sembrano mostrare una sorprendente capacità di adattamento al nuovo regime ambientale, adottando strategie di vita simili a quelle delle specie atlantiche, contribuendo così alla resilienza degli ecosistemi marini alle Svalbard. Tuttavia, è ancora troppo presto per determinare con certezza l'esito delle interazioni competitive tra i nuovi arrivati atlantici e i residenti artici. Gli scienziati stanno ancora raccogliendo dati e prove per capire chi saranno i perdenti e i vincitori in questo grande esperimento climatico.
Deschampsia cespitosa
Ranunculus subborealis subsp. villosus
Il crescente impatto delle attività umane e i cambiamenti climatici stanno incrementando il rischio di introduzione e insediamento di specie vegetali non autoctone nelle Svalbard. Questo fenomeno è fonte di preoccupazione per i ricercatori, in particolare per Kristine Bakke Westergaard, professoressa associata presso il Dipartimento di Storia Naturale dell'Università Norvegese di Scienza e Tecnologia (NTNU) [2].
Le specie non autoctone, che si stanno diffondendo in diverse regioni del pianeta, hanno il potenziale di alterare l'equilibrio ecologico di aree consolidate. Le Svalbard sono particolarmente vulnerabili a causa del loro crescente appeal come destinazione turistica, soprattutto per crociere. A differenza dell'Antartide, dove esistono rigide misure di biosicurezza per prevenire l'introduzione di specie invasive, alle Svalbard non esistono controlli adeguati per monitorare se i visitatori trasportano semi o altri organismi potenzialmente dannosi, ad esempio attraverso scarpe contaminate o terreni importati [2].
Attualmente, solo le specie più resistenti riescono a sopravvivere nell'arcipelago, ma con il riscaldamento globale, un numero crescente di specie potrebbe trovare nelle Svalbard un ambiente adatto al proprio insediamento. Tra le piante non autoctone con il maggior potenziale di diffusione nell'arcipelago, si identifica la gramigna (Deschampsia cespitosa), una specie di ranuncolo dei prati (Ranunculus subborealis subsp. villosus), e la saussurea delle Alpi. I modelli climatici prevedono che quasi tutte le aree delle Svalbard potrebbero sviluppare un clima favorevole all'insediamento di queste piante invasive [2].
Per evitare che queste nuove specie compromettano l'equilibrio ecologico delle Svalbard, i ricercatori sottolineano l'importanza di implementare misure preventive mirate. La prevenzione della diffusione di specie non autoctone dovrebbe diventare una priorità per salvaguardare l'ecosistema artico, prima che la situazione diventi irreversibile e difficile da gestire.
Bibliografia
[1] https://framforum.com/: Mikko Vihtakari, Haakon Hop, Philipp Assmy, Gary Griffith, Pedro Duarte, Anette Wold and Geir Wing Gabrielsen / Norwegian Polar Institute, Malin Daase, Bodil Bluhm and Else Nøst Hegseth /UiT The Arctic University of Norway, Paul E. Renaud and Janne E. Søreide /University Centre in Svalbard, Børge Moe / Norwegian Institute for Nature Research, October 2019, https://www.unis.no/news/atlantification-of-the-marine-ecosystem-in-kongsfjorden-svalbard/
[2] Luglio 2024, Repubblica, https://www.repubblica.it/green-and-blue/2024/07/26/news/piante_aliene_ecosistema_svalbard-423415524/